Giorgio Parisi: «L'intelligenza artificiale porterà al disastro se non verrà regolamentata»

diRomualdo Gianoli

Il fisico teorico, premio Nobel nel 2021, è sicuro che l'Ai e le tecnologie quantistiche cambieranno il futuro ma è «difficile dire in quale direzione» 

Giorgio Parisi: «L'intelligenza artificiale porterà al disastro se non verrà regolamentata»

«Si stanno affacciando tecnologie quantistiche nuove che certamente cambieranno il futuro, anche se è difficile dire in quale direzione, però alla fine troveranno la loro strada». Giorgio Parisi è sicuro ma anche curioso di scoprire a cosa porterà l’evoluzione delle teorie quantistiche. Del rapporto tra scienza, cittadinanza e nuove frontiere della tecnologia, il premio Nobel 2021 per la fisica ha parlato con LOGIN nel corso della sua visita a Napoli. L’occasione è stata l’incontro con la comunità italiana delle Tecnologie Quantistiche che proprio nel capoluogo campano stanno vivendo una stagione entusiasmante, con i primi computer quantistici pubblici d’Italia e gli studi sulla futura rete Internet quantistica. L’ incontro ha avuto un forte impatto sugli studenti , e sui cittadini, presenti nella nuova sede dell’Università Federico II realizzata a Scampia. La presenza del celebre fisico ha celebrato la trasformazione di una piazza della criminalità a luogo di riscatto e moderna agorà dove Parisi ha condiviso la sua idea di scienza.

Professore, a proposito di tecnologie di frontiera, in che modo quelle quantistiche ci cambieranno la vita?
«In realtà l’hanno già fatto tanto tempo fa. Pensiamo ai transistor che sono alla base di tutta l’elettronica e che sono stati progettati basandosi sulle leggi della meccanica quantistica. O al laser, con tutte le sue applicazioni, che è una tecnologia quantistica. Difficile anticipare ora la direzione delle nuove tecnologie. Le faccio due esempi: Edison aveva inventato il sistema per registrare la voce ma era assolutamente contrario a che venisse utilizzato per la musica, perché secondo lui in quel caso non avrebbe avuto successo. La stessa cosa capitò in seguito, quando furono realizzati i primi personal computer: un alto dirigente della Ibm dichiarò che se ne sarebbero venduti al massimo cinque!».

Giorgio Parisi: «L'intelligenza artificiale porterà al disastro se non verrà regolamentata»

Lei si spende spesso a favore dell’ambiente. Pensa che tecnologie come quelle quantistiche potranno essere utili al contrasto al cambiamento climatico?
«Sta già accadendo. Pensiamo ai pannelli solari: funzionano grazie a tecnologie quantistiche. Quelli che utilizziamo oggi hanno un’efficienza molto elevata, che però difficilmente potrà essere aumentata di molto. La vera questione è trovare soluzioni sostenibili, perché il materiale di cui sono fatti questi pannelli è inquinante. Già ora ve ne sono alcuni tipi in materiale organico sotto forma di film che possono essere applicati, per esempio, sulle finestre degli edifici. Al momento, tuttavia, sono estremamente poco efficienti e molto costosi e quindi è chiaro che bisogna trovare soluzioni in cui si possa trasformare efficacemente e direttamente l’energia solare in combustibile. Realizzare, cioè, una specie di fotosintesi perché non è pensabile avere una situazione in cui i combustibili vengano eliminati al 100% ma, se si riuscirà a produrli in maniera efficace e direttamente dal solare, questo sarà fondamentale. Quindi ci sono molte tecnologie che si possono immaginare per contribuire alla lotta al cambiamento climatico».

Riusciremo a governare l’intelligenza artificiale?
«L’intelligenza artificiale di 70-80 anni fa, i computer, è stata in grado di fare calcoli più velocemente degli umani. Quella di 40-50 anni fa riusciva a eseguire anche calcoli algebrici più rapidamente degli umani. Insomma, si va nella direzione in cui l’Ai sarà in grado di fare certe cose meglio di noi. Pensate alla capacità di fare traduzioni automatiche di un libro di 500 pagine in un minuto e con un buon risultato. Insomma, stiamo certamente aumentando la capacità dell’uomo. E come le macchine ci permettono di aumentare la nostra capacità manuale, così l’Ai ci consente di aumentare quella intellettuale. Ma ci sono comunque dei pericoli. Per fare un esempio: oggi l’Ai rappresenta un cambiamento epocale paragonabile a quello della stampa, che ebbe un impatto enorme quando venne introdotta, ma la stampa è regolata da decine e decine di leggi. Immaginate cosa succederebbe se eliminassimo le norme sul diritto d’autore, o sulla responsabilità dei giornalisti. Anche l’Ai ha assolutamente bisogno di essere regolata. Le persone che vedono una foto hanno il diritto di sapere se è vera o artificiale per non perdere la certezza, che attualmente abbiamo, di dire che un fatto è realmente avvenuto. I cambiamenti devono essere controllati e regolati, altrimenti tendono a portare al disastro».

Giorgio Parisi: «L'intelligenza artificiale porterà al disastro se non verrà regolamentata»

C’è il rischio di perdere una parte dei fondi del Pnrr destinati alla ricerca?
«Quello che capisco è che c’è un grosso problema di progettazione, perché siamo passati da uno Stato italiano che progettava molto poco, a una situazione in cui bisogna presentare una quantità enorme di progetti. Così, mentre sul lato scientifico i soldi del Pnrr si riescono a utilizzare perché abbiamo delle università capaci, è chiaro che si troverà in difficoltà un’amministrazione comunale o regionale che per decenni ha abbandonato la capacità di progettare e che quindi non ha neanche le persone necessarie per farlo. La questione doveva essere molto discussa con l’Europa, però sono fiducioso che in qualche modo si riesca a risolvere».

L’Italia continua a perdere laureati, specialmente al Sud. Come si può invertire la tendenza?
«È certamente necessario fare degli investimenti, ma bisogna avere la capacità di scegliere in maniera oculata, senza finanziare di tutto. Ricordo di aver guardato i fondi europei per la ricerca destinati alle Regioni obiettivo 1 del Mezzogiorno e di aver trovato che spesso sono non hanno generato ricerca avanzata o, addirittura, si sono rivelati dannosi. Ciò che è fondamentale è una cosa che in Italia viene praticata poco: la valutazione del progetto. Bisogna prima capire bene se il programma è sensato, poi valutare in itinere quello che si sta facendo e, nel caso le cose non stiano andando bene, saper tornare indietro».

La scienza ha un grande impatto sociale. Perché per i cittadini è importante possedere una base minima di conoscenze scientifiche?
«Molto spesso le decisioni vengono prese sulla base di argomenti scientifici e i cittadini devono essere in grado di capirli. Possiamo dire che si tratta di uno strumento per raggiungere una democrazia compiuta. Il problema è che probabilmente la scuola è organizzata in maniera un po’ vecchio stile, essenzialmente con programmi “Gentiliani” ormai di un secolo fa, che vedevano in quella liceale un’istruzione d’élite e di stampo umanistico. Quindi, non si riesce a fare in modo che la scuola abbia lo scopo preciso di formare i cittadini a comprendere come funziona la scienza per evitare di dover dare la propria fiducia in bianco. L’educazione è un punto cruciale ed è importante cominciare da bambini. L’importanza pratica della scienza ci è chiarissima attraverso un’infinità di modi eppure, in questi tempi, c’è una maggiore sfiducia, cosa che ho sperimentato anch’io personalmente durante la pandemia di Covid-19 quando sono stato oggetto di attacchi. E questo può sembrare un paradosso: nello stesso momento in cui la società diventa sempre più dipendente dalla tecnologia avanzata, che è frutto proprio delle scoperte scientifiche, i cittadini diventano più sospettosi nei confronti degli scienziati».

A cosa attribuisce questo fenomeno?
«Stiamo entrando in un periodo di pessimismo sul futuro dovuto al fatto che affrontiamo crisi di ogni genere: climatica, economica, delle risorse, un aumento delle diseguaglianze, l’insicurezza del lavoro e non ultime le guerre . Una volta eravamo tutti convinti che il futuro sarebbe stato migliore del presente e che fosse la scienza a portare verso questo futuro radioso. Poi questa fiducia nel progresso e nel futuro si è erosa e per molti la scienza ha cominciato ad avere il demerito di questa situazione e ad essere considerata come una cattiva maestra che ha spinto l’umanità nella direzione sbagliata. Inoltre, gli scienziati sono talvolta visti come un’élite che, in quanto tale, sconta il forte risentimento che c’è contro tutte le élite. Ma questa sfiducia verso la scienza può essere disastrosa. In realtà, abbiamo bisogno di più scienza, altrimenti non saremo in grado di combattere pericoli come il riscaldamento globale, le malattie infettive, la povertà, la fame e la mancanza di risorse a livello planetario».

Pensa allora che il mondo dovrebbe essere governato da tecnici e scienziati?
«Non sono un tecnocrate e non penso che un governo di scienziati sia la cosa migliore, ma la scienza è l’unico tentativo onesto di capire la realtà e di fare previsioni stimando l’incertezza. La scienza, dunque, ha il compito di aiutare l’umanità a passare per una strada irta di pericoli e deve indicare le varie opzioni. Ma la decisione, poi, spetta alla politica».

Che effetto le fa trovarsi a Scampia?
«Sono molto contento di esserci perché questo è un nome che evoca qualcosa che non corrisponde più alla realtà attuale e molto probabilmente non corrispondeva neanche a quella di una volta. Perché a Scampia è in atto una rinascita dovuta a tanti fattori, come la nuova sede dell’Università Federico II ma, soprattutto, alla lotta delle tante cittadine e cittadini che hanno combattuto per avere una situazione migliore».

Giorgio Parisi: «L'intelligenza artificiale porterà al disastro se non verrà regolamentata»

30 ottobre 2023 2023